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CULTURA INDIPENDENTE PER UN NUOVO DIRITTO ALLA CITTA’
CULTURA INDIPENDENTE PER UN NUOVO DIRITTO ALLA CITTA’
Il diritto alla città, una città inclusiva, costruita dal basso, aperta a tutt@ e soprattutto che contenga le garanzie volte non solo a tutelare la nostra dignità, ma ad esaltare la nostra personalità, non può che includere un aspetto di fondamentale importanza come quello della promozione e della diffusione di cultura indipendente.
Quale dignità infatti ci rimane in una città in cui, non solo la cultura indipendente non viene incoraggiata e messa nelle condizioni di articolarsi, ma sono gli spazi culturali tout court via via a scomparire, pressati dalla minaccia della rendita e del profitto?
La cultura non conviene? Allora facciamo un bel centro commerciale, un sala slot, un centro benessere oppure lasciamo tutto com’è, al totale abbandono, ed aspettiamo cambiamenti legislativi che, si sa, sotto la spinta dell’opportunità economica, potrebbero arrivare presto, determinando una rinnovata convenienza. Allora ecco che il cinema di quartiere diventa una residenza con appartamenti di lusso, il teatro vicino casa diventa un ristorante e l’altro cinema in centro, per citare l’ultimo caso del “Cinema Metropolitan” in Via del Corso, si trasformi in un atelier di moda. Oppure, ancor più drammaticamente, immobili eredi di un grande passato culturale marciscono lentamente, svalutandosi per diventare di nuovo preda di qualche scaltro speculatore.
Tutti questi cambiamenti del tessuto urbano ci ricordano, in fin dei conti, che non dobbiamo illuderci di essere persone che si relazionano, costruiscono in maniera critica, condividono e scambiano i saperi, in poche parole facciano cultura, ma solamente merce da controllare, utile ad essere sfruttata con i soldi che spendiamo, soldi conquistati faticosamente dal nostro sfruttamento. La nostra esigenza, indotta dal mondo che vediamo, quello calato dall’alto e del quale non abbiamo nessun diritto di ideazione, è solamente quella del consumo, non della produzione di valori.
Qual’è stata, in questi ultimi tempi di spregiudicata avanzata dell’interesse privato e della speculazione nel campo della cultura, la risposta della politica cittadina a tutto questo? Nell’ordine:
- Mesi e mesi di assenza di un assessore alla cultura a testimonianza dell’importanza rivolta dalla giunta comunale alla questione culturale.
- Un bando sull’estate romana 2014, ultimo colpo dell’ex assessora Flavia Barca, che ha tra i suoi requisiti fondamentali quello della “capacità di produrre indotto”, inserendo di fatto il concetto della massimizzazione del profitto accanto a un valore immateriale come la cultura.
- L’insediamento della nuova assessora Giovanna Marinelli che ha presentato la sua gestione culturale della città in una serie di avvincenti vicende: l’imbarazzante e colpevole silenzio di fronte alla serie di sgomberi estivi effettuati dalla prefettura nei confronti di spazi sociali, no profit, in cui si produceva e distribuiva cultura; una dichiarazione che diceva “più privati nella gestione e nella valorizzazione del patrimonio capitolino”, oltre ad una generale riflessione che incitava a dare più spazio a privati, nella raccolta dei fondi e nella promozione del patrimonio artistico e storico di Roma; l’inaugurazione in grande stile a Luglio del parco di divertimento-culturale Cinecittà World, simbolo perfetto del modello di città vetrina(tutta forma e niente sostanza e soprattutto tutto a pagamento e quindi non per tutt@), finanziato dai grandi magnati italiani dell’industria cinematografica e il cui obiettivo è ambizioso, raggiungere 1.500.000 visitatori nel 2015 con un fatturato stimabile intorno ai 55 milioni di euro.
Ci chiediamo qual’è il fine della cultura: fare soldi o sviluppare il pensiero critico? Noi pensiamo che sia questa seconda opzione ad essere in linea con il diritto alla città. In seguito alla sgombero del Volturno, abbiamo incontrato proprio l’assessora alla cultura Giovanna Marinelli e le abbiamo domandato: “esiste al momento attuale un’alternativa diversa dagli spazi sociali autogestiti e occupati che permetta un’offerta e una gestione culturale accessibile a tutt@?”. La risposta è stata “No”.
In definitiva la sintesi tra l’approccio pubblico e quello privato nella gestione cittadina della cultura può riassumersi in questo modo: non c’è posto per luoghi e momenti culturali, a meno che questi non diventino opportunità economica. Per questo noi proponiamo un terzo approccio, “comune”, che superi gli altri due e che si basa sulla cultura indipendente.
Cultura indipendente vuol dire, brevemente, anche se è un concetto che bisogna approfondire più attentamente, uno stato di possibilità in cui la cultura è stimolata come valore intrinseco ed immateriale, quindi oltre la sua convenienza; prodotta da chiunque, non necessariamente per rispondere a quello che il mercato richiede; distribuita in modo da essere accessibile a tutt@, senza la selezione indotta dal mercato e che si basa sul potere d’acquisto che stabilisce che chi ha i soldi può accedervi, mentre chi non ce l’ha no. Cultura indipendente è una condizione che permette, alla stregua di altri beni comuni, la sua libera attraversabilità a tutt@.
Allo stato attuale, considerando l’attacco della prefettura sotto il silenzio più totale dell’amministrazione e scagliato alla “libertà nella città”, dobbiamo constatare, oltre la scarsa attenzione rivolta in generale alla cultura, la volontà politica di eliminare quegli spazi maggiormente promotori di cultura indipendente come gli spazi autogestiti e occupati che si situano in un terreno di movimento extra profitto.
E’ indispensabile per questo motivo preoccuparci della loro esistenza, resistenza e sopravvivenza, ma non solo. E’ ancora più importante richiedere che alcune condizioni culturali vengano garantite e che la questione culturale in assoluto sia realmente gestita dal basso, in comune e in maniera partecipata perché il nostro bisogno di libertà, come diceva Gaber, è raggiungibile solo attraverso la partecipazione.
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